Il reddito di cittadinanza: opportunità o problema?

Il reddito di cittadinanza è la proposta bandiera del Movimento 5 stelle che da anni, dalla fondazione si può dire, caratterizza questo movimento politico che da movimento di opinione ben radicato all’opposizione è diventato partito di governo. È ovvio che, una volta appunto al governo, il M5S ha fatto dell’applicazione di questa legge il suo baluardo, la vera e profonda risposta ai problemi non solo del paese, ma anche del posizionamento politico del movimento stesso.

Tra le tante accuse che gli avversari politico fanno a questo provvedimento ce n’è una che prevale: la legge mira a risolvere almeno tre problemi diversi, la lotta alla povertà con un reddito che va a chi ha bisogno e non ha risorse, la politica attiva del lavoro che mira a individuare un percorso di formazione/consulenza per le persone alla ricerca di lavoro, l’incontro tra domanda e offerta di lavoro per fornire non solo assistenza alle imprese che cercano, ma anche contributi e agevolazioni. Su quest’ultimo punto è vero che in Italia c’è un gap informativo, le aziende che cercano e non trovano lavoro (da quelle metalmeccaniche che hanno bisogno di lavoratori tecnici, alle aziende di call center come Accueil – www.accueil.it – che cercano lavoratori per la consulenza commerciale telefonica). Ed è vero che c’è un bisogno di orientamento in Italia, per cui le persone in cerca di lavoro sono abbandonate a sé stesse nella loro attività, non portate a un percorso che mettendo insieme orientamento, formazione e consulenza, le porti a individuare la strada giusta per trovare lavoro. Ma queste attività hanno bisogno di professionalità di alto livello e di un’organizzazione (uffici, banche dati comunicanti, rapporti con le imprese, rapporti con enti di formazione) che in Italia non ci sono e che non si costruiscono in pochi mesi. Il governo ha pensato all’assunzione di un numero molto significativo di personale che possa svolgere questo lavoro, ma questo rischia di spostare il problema: chi formerà i navigator (così si chiameranno questi professionisti dell’orientamento)? E chi fornirà loro non solo l’hardware necessario a fare il lavoro – a partire dal posto fisico in cui esercitarlo – ma anche il software, e cioè gli strumenti metodologici per orientare.

C’è infine il problema che solo una parte dei poveri in Italia può lavorare: molti sono impossibilitati per ragioni fisiche o psichiche a lavorare. A che servirà loro un sistema di orientamento e di consulenza al lavoro?